Due personaggi senza nome condividono un luogo fuori dal tempo. Uno di essi, denominato il Professore, legge incessantemente libro dopo libro, mentre il secondo, l’Asceta, medita praticando una fusione di varie discipline orientali.
La loro incessante routine è interrotta solo dai pasti che consumano ad una tavola imbandita e da una finestra che occasionalmente si apre a far trapelare nell’ambiente i rumori del mondo al di fuori della loro bolla; la finestra viene puntualmente richiusa dai due per evitare che il frastuono del mondo li distragga dalla loro ricerca.
Man mano che la situazione procede, il cibo dei loro pasti e i piatti stessi in cui è servito diventa via via più esiguo, fino a diventare solo una pallido ricordo di quello originale. I due si affacciano quindi alla finestra un’ultima volta, dato che ora da essa non giungono più rumori di alcun tipo.
Lo spettacolo davanti ai loro occhi li riporta alla realtà che hanno per troppo tempo ignorato.
Lo scopo finale dell’opera è di portare ad una riflessione circa il valore che viene dato alla conoscenza e all’autocoscienza da parte del mondo occidentale. Sebbene, infatti, le attività intellettuali (rappresentate dal Professore), così come quelle legate alla meditazione (ovviamente incarnate nell’Asceta) siano considerate come altamente nobili e meritevoli, la tendenza del mondo occidentale contemporaneo a rinchiudersi in queste attività introspettive spesso si è legata alla estraniazione nei confronti del mondo circostante. Specialmente in un momento come questo, in cui problemi concreti come il cambiamento climatico e le sue conseguenze necessitano di una immediata risposta da parte della società civile, l’attività puramente intellettuale fine a sé stessa rischia di essere inutile dal punto di vista pratico e, in estrema misura, dannosa in quanto capace di far dimenticare la realtà.
Il cortometraggio punta a rappresentare il distaccamento dalla realtà da parte di chi eleva a unico scopo la conoscenza o l’autocoscienza, tramite metafore: il cibo che si restringe, la finestra che si apre e viene ogni volta richiusa, il mutismo dei personaggi e la loro incapacità di produrre qualcosa (uno scritto, una parola di conforto) simboleggiano infatti questo rapporto tra società “pensante” e la dura realtà del mondo, con le sue estreme conseguenze. Lo stile di regia che si è scelto per rappresentare tutto ciò è essenziale: le immagini riprendono i personaggi sempre come quadri statici, rinchiusi nella loro quotidiana ripetizione, i dettagli vanno a sottolineare con minimalismo i pochi oggetti a cui sono fortemente legati.
Pietro Tamaro, laurea al DAMS di bologna nel 2008, è uno dei fondatori della Baburka Production, responsabile del reparto Regia e Sceneggiatura, è autore o co-autore della maggior parte delle sceneggiature dei prodotti Baburka, come il cortometraggio Dead Blood, di cui è anche regista.
Negli anni ha girato per la società anche diversi video musicali e spot per progetti curati dalla Baburka in qualità di esecutivo, come il lungometraggio “Franky” di Joel Anitori (2016), il lungo “Cattivo Sangue” di Simone Hebara (2018), ed oltre una dozzina di cortometraggi, si occupa dell’aiuto regia e revisione della sceneggiatura. Ha inoltre diretto il lungometraggio “Fratelli di Sangue” prodotto dalla KC Films nel 2015 e distribuito a fine 2016 presso la catena Uci Cinema.
DirectionPietro TamaroProductionBaburka ProductionCastStefano Gasperetti, Fabio PompiliCountryItaliaYear2020LanguageMutoColor CorrectionAmos MaccantiEditingVictor SpacekAudioStereoCostumesStefania Pisano
Dopo gli studi inizia la sua carriera come parrucchiera professionista. Terminata la scuola di estetica si diploma come truccatrice e nel frattempo continua a lavorare nel mondo della moda e dello spettacolo accumulando oltre venti anni di esperienza.
Specializzata nel total look (make up and hair) nel 2019 entra a far parte della Baburka come responsabile del settore Beauty and Fashion.